Archivio | gennaio, 2012

Placement territoriale: il caso di Brescello e del Castello di Agliè

12 Gen

C’è un nuova strada per produrre un film, per valorizzare il nostro territorio, le nostre location e il nostro patrimonio artistico, che tutto il mondo ci invidia: il Cineturismo. Così scriveva qualche anno fa  sul Sole24ore Francesco Apolloni, autore e registra cinematografico mettendo in evidenza come il territorio possa esser considerato a tutti gli effetti un prodotto da piazzare in un film a scopo meramente economico e commerciale.

Al museo Peppone e Don Camillo tra i vari cimeli è possibile rivedere le biciclette usate spesso dai due protagonisti.

Una ricerca condotta dall’APE (Associazione Produttori Esecutivi) effettuata in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma ha dimostrato come per ogni euro speso da una produzione audiovisiva, vi sia un impatto per il territorio di quasi 4 euro. Film e programmi tv possono infatti diventare  un forte elemento di costruzione d’identità di un luogo, di una città, di un territorio e, con le strategie opportune,  è possibile attrarre visitatori che altrimenti non avrebbero visitato il luogo, incoraggiare i turisti che ci sono già stati a ritornare, far si che le permanenze siano più lunghe (con conseguenti spese maggiori), e ampliare il target market di una destinazione. Insomma, un vero e proprio business: studi parlano di 100 milioni di turisti che ogni anno si muovono alla ricerca dei set cinematografici.

Molti film e telefilm hanno consentito in Italia uno sviluppo del territorio sorprendente. E’ il caso di Brescello, piccolo centro nel reggiano a pochi chilometri da Guastalla ‘’in quella fettaccia di terra tra il Po’ e l’Appennino’’, divenuto meta di turisti provenienti da tutta Italia grazie al celeberrimo film di don Camillo e Peppone. L’immagine di quella zona, ha ispirato il libro, che ha ispirato il film, che a sua volta ha formato l’immagine della destinazione e plasmato l’identità del luogo. E’ così che dal 1952, anno della prima pellicola, che Brescello ha sancito la sua imperitura immortalità. L’uso attento dell’immagine del film ha portato ad avere un numero costante di visitatori nell’arco di ben 25 anni (si parla di 30-40 000 visitatori l’anno). Il merito è soprattutto della cittadina che ha saputo sfruttare al meglio la fama del film non solo con la creazione del museo situato in un ex convento benedettino, nonchè sede della celeberrima Casa del Popolo durante le riprese (e questo ha permesso anche di salvare una vera e propria opera d’arte), ma per rivivere l’atmosfera del film si può arrivare a  Brescello in treno con la locomotiva a vapore, proprio come quella che spesso usavano i due protagonisti. Una volta giunti alla stazione, che ha conservato pressoché immutata l’immagine  mostrata nel film, i turisti sono accolti dalla banda e, in corteo, raggiungono la piazza principale.

E per la pausa pranzo? Semplice, si va alla trattoria di Don Camillo e Peppone dove si può bere il vino di Peppone (rigorosamente rosso!)  e assaggiare i tortellini di Don Camillo.

A questo si aggiunge il merchandising: dal carro armato in miniatura protagonista di una famosa scena del film ai dolci di Don Camillo e Peppone…insomma grazie a questo film, ma soprattutto all’abilità di saper sfruttare al meglio la pubblicità ad esso connessa, Brescello riesce ad avere ancora introiti importanti.

Un altro straordinario esempio di placement territoriale riguarda la fiction ‘’Elisa di Rivombrosa’’. Grande il successo dello sceneggiato: oltre 10 milioni di telespettatori hanno seguito la puntata finale, in cui si scioglievano i nodi dell’amore impossibile tra il conte Fabrizio Ristori e la sua bella Elisa Scalzi nel Piemonte sabaudo e settecentesco. Il castello dove è stata girata la fiction è stato letteralmente preso d’assalto dai turisti, il cui numero a un anno dalla fiction è lievitato dai 1500 ai 70/80 000 l’anno. Una volta visitato il castello di Agliè, c’è la possibilità di fare un giro sulla carrozza di Elisa, comprare le riproduzioni dei gioielli della protagonista e, se ci si vuole fermare a mangiar qualcosa, nei menù dei ristoranti locali sono comparsi i ‘’piatti tipici di Elisa’’. Dal nulla (visto che la bella protagonista della fiction non è mai esistita) si è creato un vero e proprio mito.

Due esempi che dimostrano quanto il placement territoriale, con le strategie opportune, sia in grado di generare occupazione e indotto economico.

Mango: un nuovo concetto di product placement

4 Gen

Oggi volevo riprendere una case history apparsa recentemente sul blog “Young Digital Lab“, che parla della nuova serie “What Should I Wear?”, che quest’anno viene prodotta in collaborazione con un noto marchio di moda spagnolo, Mango.

“What Should I Wear?” è una serie alla “Sex And The City” nata sul web, che aveva come obiettivo quello di mostrare agli spettatori, attraverso una fiction, i nuovi look e le nuove tendenze dell’anno. L’inaspettato successo del programma, con circa due milioni di visualizzazioni per la sola prima stagione, deve aver prontamente aguzzato l’ingegno dei marketing manager di Mango, che hanno subito pensato di co-produrre la seconda stagione della serie.

L’obiettivo di Mango è quello di adattare il plot della serie al proprio marchio, proponendo al pubblico una nuova forma di product placement, che – a mio avviso – porta con sè due nuove, importantissime caratteristiche, ovvero la “viralità” e l’interattività.

“What Should I Wear?” infatti, non solo permette di mostrare i vari look mango all’audience con il classico “piazzamento del prodotto”, ma qualora una spettatrice fosse interessata ad un capo d’abbigliamento indossato da un’attrice può “mettere in pausa” la trasmissione ed acquistarlo tramite lo shop online di Mango, che si apre all’interno della pagina in cui viene visualizzata la serie.

Ho potuto visionare alcuni degli episodi su YouTube e sono rimasta sorpresa di quanto la serie sia curata nei minimi dettagli. Gli attori sono molto capaci, la regia è buona e le storie presentate sono divertenti, frizzanti, coinvolgenti e solo raramente risultano piatte o banali. Il livello qualitativo della serie è quindi sorprendentemente alto, e a mio parere ha poco o nulla da invidiare a serie ben più blasonate.

Altra caratteristica molto importante è che il piazzamento dei prodotti nella serie avviene in maniera magistrale, perché questi sono sempre ben visibili e valorizzati dalle inquadrature e dalla luce di scena, senza trasmettere quella sensazione di “sgradevolezza” che spesso avverto quando guardo film o serie TV che utilizzano il product placement in maniera maldestra.

Come ogni esperto di marketing sa, inoltre, il product placement fine a se stesso perde gran parte della sua efficacia, se non ha come contorno una strategia di marketing ben congeniata. La co-produzione, da parte di Mango, della serie “What Should I Wear?” è infatti soltanto una parte di una strategia di marketing ben più complessa ed articolata, volta a generare (anche tramite la gestione i social network) un potente effetto virale in rete. I responsabili della comunicazione di Mango infatti stimolano continuamente la partecipazione e le discussioni sulla pagina ufficiale dell’azienda, offrendo premi e riconoscimenti per gli utenti più attivi.

La co-produzione della serie, l’innovativa interpretazione delle tecniche di product placement, il magistrale utilizzo dei social media nelle tattiche di marketing virale, rendono il caso presentato sopra un vero e proprio “caso di studio”. Il mio plauso va quindi a Mango, che una è tra le prime aziende che hanno saputo sfruttare in maniera sorprendentemente positiva i nuovi mezzi di comunicazione messi a disposizione dal Web 2.0. Sono inoltre convinta che, nonostante altre aziende dello stesso settore possano attuare strategie simili, essere “first movers” in questo campo ancora ampiamente inesplorato, fornirà a Mango un vantaggio strategico non indifferente.

Se l’articolo vi ha incuriosito, non vi resta che guardare una delle puntate della mini-serie:

Se desiderate ottenere maggiori informazioni, vi incollo anche il link dell’articolo di Young Digital Lab, che amplia ed approfondisce alcune delle tematiche che ho trattato nel mio:

http://www.youngdigitallab.com/case-history/mango-pionieri-del-product-placement/

Eleonora