Archivio | Maggio, 2012

I 4 ELEMENTI PER VALUTARE UN PRODUCT PLACEMENT: la modalità di presentazione della marca

31 Mag

In questo post e nei prossimi vorrei proporvi quelli che per me sono i 4 elementi fondamentali per valutare un product placement.

Primo tra tutti è valutare la modalità di presentazione di un product placement. Russel individua, sulla base dei canali sensoriali dello spettatore attivati dallo stimolo del product placement, tre fondamentali modalità di presentazione:

solo visiva, denominata screen placement: contribuisce a definire il contesto nel quale la storia si svolge, poichè l’impiego di prodotti di marca può rendere il set più realistico;

– solo uditiva, denominata script placement: che comporta la citazione verbale da parte di un personaggio o di una voce fuori campo del nome della marrca ed eventualmente delle sue caratteristiche, senza mostrare il prodotto sullo schermo; consente di trasmettere attaverso i dialighi informazioni semantiche significative, che spesso risultano caratterizzate, rispetto alla stimolazione visiva, da una maggiore intrusività e dalla capacità di suscitare nell’individuo un più attivo stato di attenzione;

– una combinazione audiovisiva, che mostra una marca e allo stesso tempo ne cita il nome o prevede un messaggio uditivo che la riguarda.

Esempio di combinazione audiovisiva (e, come vedremo più avanti ottimo esempio di product integration): Colazione da Tiffany

 

 

Le diverse modalità di presentazione della marca risultano importanti nel denominare l’efficacia del product placement, in quanto possono rendere lo stimolo ricco di significato per l’individuo e, poichè solo gli stimoli più significativi vengono integrati nella struttura cognitiva presente in memoria, possono consentire al messaggio implicito nel product placement di essere elaborato in modo più approfondito, generando maggiore ricordo e persuasione.

Nella prassi la modalità visiva risulta essere quella pù utilizzata frequentemente, nonostante esista il rischio che gli spettatori non prestino attenzione o non ricordino la presenza della marca sulla scena in assenza di un rinforzo uditivo; la modalità di presentazione combinata ovviamente supera questo problema, ma si rileva evidentemente più costosa per l’impresa e più difficilmente adattabile alle esigenze della specifica marca.

Prada by Roman Polanski: il cortometraggio presentato al Festival di Cannes

23 Mag

Al Festival di Cannes è arrivato anche un cortometraggio diretto da Roman Polanski e sponsorizzato da Prada. Un tocco di moda si è andato quindi ad aggiungere alla Selezione Classici della 65ª edizione della kermesse cinematografica, sezione in cui il filmato breve è stato presentato lo scorso lunedì.

Essendo un filmato prodotto dalla casa di moda italiana, oltre ai due attori il protagonista è anche un abito, un cappotto viola che diventa un vero e proprio personaggio aggiunto della storia. Più che una semplice pubblicità, più che un semplice product placement, una piccola chicca dal sapore fortemente cinematografico.

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Festival di Cannes: un supermercato di immagini

18 Mag

Se credete che Cannes sia una kermesse dedicata ai film, vi sbagliate di grosso: Cannes è un colossale supermercato di immagine, con tutto quel che ne consegue, o per meglio dire che lo precede e su cui si focalizza l’attenzione di tutti: lo stile degli attori, dall’abito al gioiello alla petttinatura. Fate due conti, ma ogni star ha almeno 10 occasioni per apparire (cene di gala e di beneficenza, presentazioni di film, spiaggia, shopping, barca…), e altrettante ne hanno gli sponsor: per tutti, un’ineguagliabile opportunità di mettersi in mostra.

Rispetto alla selezione dei film in concorso, la sfida fra maison di moda, gioielli e accessori è a tutti gli effetti la seconda kermesse, e non la meno importante, come si può dedurre anche dall’elenco degli sponsor di questa edizione del festival: Chopard e L’Oréal, oltre a Swarovski, che per i partecipanti alla rassegna ha disegnato 1800 gioielli, e Gucci, che presenterà la versione restaurata di C’era una volta in America di Sergio Leone con la Martin Scorsese’s Film Foundation, seguita da una cena all’hotel du Cap. L’aspetto più nuovo del Festival di Cannes di quest’anno, che è purtroppo quello più drammatico per la moda italiana, è che le attrici in gara, in giuria o previste fra le ospiti sono già tutte griffate da case di moda francesi: Kristen Stewart, inteprete femminile della nuova versione cinematografica di On the road di Jack Kerouac, diretta da Walter Salles, è la testimonial del nuovo profumo di Balenciaga, mentre Tilda Swinton, che un paio di anni fa percorse il tappeto rosso della Mostra del Cinema di Venezia in Alberta Ferretti e che a Cannes aprirà il festival come protagonista della nuova pellicola di Wes Anderson (regista prediletto dalla moda, peraltro) è diventata la musa di Haider Ackermann.
Nutritissima appare anche la falange delle adepte al verbo di Chanel, da Nicole Kidman (due film in gara) a Kirsten Dunst, tutte a vario titolo testimonial di prodotti o linee griffate dalla doppia C, a dimostrazione che investire sulla star “giusta”, che non vuol dire l’attricetta del momento, ma quella interessante e brava sul serio, è importante non solo per un produttore cinematografico, ma anche per le aziende della moda.

Se case di moda italiane come Ferragamo per gli accessori o Armani per gli smoking vengono ancora indossate dalle star, per molti altri, soprattutto quei molti non particolarmente versati nella creazione di abiti da sera ma consci delle delle opportunità di ritorno mediatico che offre , l’opportunità di Cannes, o di qualsiasi altro Festival, rischia di trasformarsi in un’opportunità mancata.  Nessuno forse l’ha mai calcolato ma le migliaia di pagine stampa e web che l’abito azzeccato può generare sono probabilmente superiori, in termini di impatto e di ritorno di immagine a quelli di una campagna pubblicitaria su scala mondiale. Certamente superiori al product placement spesso rozzo e mal integrato presente in molti film.

Il product placement che non ci piace: una canzone su cinque sono presenti riferimenti all’alcol

12 Mag

Del problema dell’alcol tra i giovani se ne parla sempre più spesso, e non solo nei salotti televisivi. Dall’ottava  Relazione al Parlamento pubblicata dal Ministero della Salute emergono dati preoccupanti: nel giro di 15 anni sarebbero addirittura raddoppiati i giovani consumatori di alcol ed è in aumento il cosiddetto binge drinking, la pratica di consumare diverse bevande alcoliche in un breve arco di tempo.

Un crescente numero di ricerche sembra indicare che il consumo di alcol è legato non solo a particolari fattori socio-culturali e connesso ad alcuni tratti di personalità, ma mettono in evidenza la forte influenza esercitata dai mass-media. L’esposizione a certi contenuti mass-mediali costituirebbe infatti uno dei fattori più forti in grado di determinare il consumo di alcol fra i giovanissimi.

In una recente ricerca condotta dei ricercatori dell’Università di Pittsburgh (B. A. Primack; E.Nuzzo, 2011), dopo aver preso dal Billboard Magazine le canzoni più popolari tra il 2005 e il 2007, hanno analizzato le parole di ciascuna delle 793 canzoni, individuando riferimenti riguardanti prodotti alcolici e brand ad essi associati. Tra quasi 800 canzoni nel 21% dei casi è contenuto un riferimento esplicito ad un drink alcolico e, tra questi,  nel 24%  delle canzoni è contenuto il nome di una specifica marca di alcolici.

Questa ricerca, pur presentando evidenti limiti (primo tra tutti la non generalizzabilità dei risultati al di fuori degli Stati Uniti), ci mostra come in una canzone su cinque sono presenti riferimenti espliciti all’uso di alcol e queste apparizioni sono solitamente associate ad uno stile di vita caratterizzato da ricchezza, sesso, violenza ed uso di sostanze stupefacenti.

Vista l’influenza che i mass-media possono esercitare sui giovani e sul loro stile di vita, ritengo che un product placement che inciti i giovani all’uso di alcol e ad adottare comportamenti che possono avere anche gravi conseguenze sulla loro salute sia solo da condannare.

Come dicevo in un recente post, la mia idea di product placement è ben lontana da questa. Mi piacerebbe che venisse utilizzato per influenzare le persone ad adottare stili di vita sani, equilibrati e non di certo a mettere in atto comportamenti nocivi alla salute. Un product placement che non ci voglia solo ”vendere” un prodotto ma aiutarci, spingerci a vivere meglio.

A presto,

Eleonora.

50 milioni di Euro: la stima di StageUp per il mercato del PP italiano

7 Mag

Nel 2015 il mercato del product placement televisivo italiano varrà 50 milioni di Euro. La stima emerge dalla nona puntata della video-rubrica settimanale “L’Opinione…in 3 minuti”. Lo strumento di comunicazione, regolato nel 2010 dal decreto Romani in attuazione di una direttiva europea, stenta a decollare nel nostro Paese anche a causa della crisi del mercato pubblicitario. Tuttavia, nel prossimo triennio, il product placement televisivo potrà rappresentare una svolta nell’advertising del piccolo schermo raccogliendo investimenti in linea con quanto stimato per Gran Bretagna (45 milioni di Euro) e Germania (50 milioni di Euro), ma un po’ meno di quanto previsto per la Francia (72 milioni di Euro). “Il product placement televisivo – commenta Giovanni Palazzi, presidente di StageUp – per le sue peculiarità si avvicina molto alle caratteristiche della pubblicità sul web, un mercato che da diversi anni cresce a doppia cifra. Riteniamo dunque che il mezzo, già ampiamente sviluppato negli Stati Uniti con un valore di 2,7 miliardi di dollari l’anno, abbia grandi potenzialità di crescita anche in Italia. Occorre però trovare un nuovo equilibrio fra network televisivi, produttori e concessionari che possa rendere lo strumento più appetibile agli occhi degli investitori, puntando in particolare su progettualità e capacità creativa nell’inserimento di diverse tipologie di prodotti in vari contesti narrativi”.