”Dal product placement al branded entertainment”

26 Mar

 

Il 28-29 marzo si terrà un seminario all’Università Cattolica del Sacro Cuore riguardante il product placemen. Sarà tenuto da esperti del settore e docenti universitari, alcuni dei quali ho avuto modo di conoscere nel mio percorso formativo.

Vi lascio il LINK della brochure.

A presto,

Eleonora.

Colazione da..?

21 Mar

Holly (Audrey Hepburn) davanti alla vetrina della famosa gioielleria

Oggi leggevo di un’interessante iniziativa promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico in accordo con la Consulta Nazionale dei Produttori Orafi Argentieri e Gioiellieri volta a sviluppare una campagna di informazione con lo scopo di avviare un rapporto tra le imprese del mondo orafo e le case di produzione cinematografica.

L’obiettivo, come ha dichiarato il Segretario provinciale Confartigianato Rosa Zarba, è quello di offrire alle imprese del settore orafo italiano un’opportunità di crescita, nel comprendere come diffondere il proprio brand o una linea di prodotti tramite l’ausilio di forme di marketing non convenzionale, come ad esempio far indossare i gioielli ai protagonisti di un film.

Per meglio organizzare e gestire tale attività, è stata avviata un’indagine di approfondimento sul product placement, mediante la compilazione online di un apposito questionario. L’indagine terminerà domani e i dati raccolti saranno poi inviati al Ministero dello Sviluppo Economico che li renderà pubblici il 25 marzo dalle 11.30 durante l’incontro di presentazione dell’iniziativa che si svolgerà ad Arezzo, all’interno della manifestazione Oro Arezzo. Mi sembra un’ottima opportunità per far conoscere le imprese orafe italiane che, tra l’altro, stanno attraversando una crisi pesantissima schiacciate dai grandi marchi della moda e del lusso.

<LINK questionario>

Citroën Italia si affida a QMI per il product placement

16 Mar

Sarà QMI, la prima società italiana di Entertainment Marketing and Communication, ad occuparsi di tutte le attività di product placement di Citroën Italia nel 2012. La casa automobilistica francese ha scelto l’azienda guidata da Giovanni Cova per curare tutti gli aspetti legati alla partecipazione delle automobili Citroën all’interno delle principali produzioni cinematografiche, musicali e televisive.

IL PRODUCT PLACEMENT NEI VIDEOGAME: il gioco che diventa pubblicità

7 Mar

Il product placement nei videogames è una tecnica pubblicitaria relativamente recente: uno dei primi utilizzi risale al 1989 quando, nel videogioco Monaco Gp della Sega, lungo il percorso che il giocatore doveva compiere guidando un’auto di formula 1, comparivano striscioni con i loghi della Marlboro o della Pirelli.  Da qui gli advergame sono proliferarati.

Si possono distinguere tre diversi tipi di video games product placement: si parte dai video games in cui il brand ‘’monopolizza’’ totalmente il gioco (es. Sneak king, video gioco che Burger King regalava ai suoi clienti), a videogiochi come Second Life in cui pubblicità dei prodotti sono mostrate per esempio su cartelloni pubblicitari o volantini che compaiono all’interno del videogame (questo tipo di video game-product placement è molto utilizzato soprattutto perché permette ai pubblicitari di comprare spazi pubblicitari per un determinato periodo di tempo e gli ads possono essere continuamente aggiornati dagli advertiser). Altro tipo di product placement  consiste invece nel far utilizzare ai personaggi del videogioco i prodotti che vogliono essere pubblicizzati (per esempio in uno ‘’sports game’’, il team potrebbe indossare la divisa firmata Adidas o giocare a calcio con il pallone della Nike).

Indipendentemente dal metodo che si intende utilizzare ciò che contraddistingue tutti gli advergame è la capacità di coinvolgere gli utenti e, grazie all’interattività che li contraddistingue, riuscire ad attrarre e mantenere l’attenzione (consapevole o inconsapevole) sul prodotto anche per lunghi periodi di tempo.

Diverse ricerche che sono state condotte a proposito del video-game product placement hanno ampiamente mostrato le potenzialità di questa tecnica: Dahl (2005) mettendo a confronto le pubblicità collocate nei ‘’traditional media’’ rispetto a quelle poste nei  ‘’creative media’’ (es. video games), mostra come quest’ultime siano in grado di sviluppare nel soggetto un atteggiamento positivo nei confronti della marca pubblicizzata e in misura maggiore rispetto agli annunci collocati nei traditional media.

 Nell’esperimento condotto da Glass (2006) ai partecipanti, dopo aver giocato con un videogame in cui comparivano prodotti di marca, veniva fatto un test per determinare se questi sviluppassero o meno un’atteggiamento positivo nei confronti dei brand comparsi nei videogioco.  L’esperimento dimostrò che i partecipanti classificavano gli in-game brands  come ‘’buoni’’ molto più velocemente rispetto a quando gli stessi dovevano essere classificati come ‘’cattivi’’. Inoltre, il tempo impiegato a classificare queste marche come ‘’buone’’  era significativamente inferiore rispetto a quando la classificazione riguardava gli out-of-game brands.

L’interazione con il brand all’interno del videogioco quindi aiuta a sviluppare nell’individuo un’opinione positiva nei confronti del prodotto di quella marca e questo viene attribuito da Escales (2004) al fatto che l’individuo, immerso nella storia, non è concentrato sulla pubblicità (quindi non si pone in maniera critica di fronte a questa) e se il videogioco evoca sensazioni positive queste saranno trasposte, anche inconsciamente,  sui prodotti pubblicizzati. Sulla stessa linea sembra essere lo studio della Homer (2006) che mette in evidenza come le sensazioni positive che si provano giocando vengono spostate sulle marche pubblicizzate nel gioco, aumentandone di conseguenza l’appeal.

La persuasività del mezzo è stata verificata anche dalle ricerche condotte dalla Nielsen che hanno mostrato come la pubblicità in-game permetta un elevato ricordo di marca, l’incremento della brand awarness e una notevole influenza sull’acquisto, senza essere troppo intrusiva.

Infine, se si considera che un videogioco può trattenere un giocatore per decide di ore e per molti giorni (un ragazzo dai 18 ai 34 anni passa in media 12.5 ore a settimana giocando ai viedeogiochi, contro le 9.8 spese a guardare la tv), questo strumento non solo si dimostra molto efficace per raggiungere segmenti di clientela ben definiti e sottrarre tempo alla visione di pubblicità presenti su altri media, ma allo stesso tempo uno strumento efficiente perché i costi rispetto agli spot televisivi e al product placement cinematografico sono nettamente inferiori e i risultati che si possono ottenere sono notevoli.

A presto,

Eleonora.

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Award for Overall Product Placement: anche quest’anno la vittoria della Apple

1 Mar

 

scena tratta dal film di Will Gluck, ''Amici di letto'' (2011)Vi sembra di vedere continuamente prodotti Apple in film/telefilm americani? La vostra non è di certo un’impressione sbagliata. Per la seconda volta Apple infatti è stata incoronata come l’azienda più presente sul grande schermo: si stima che i suoi prodotti compaiano circa nel 42,5%  dei film americani di primo piano (e secondo gli analisti la cifra è destinata a lievitare).

Al secondo posto della classifica troviamo Ford, Dell e Chevrolet (22,5%) e scendendo Coca-Cola, Cadillac e Mercedes-benz (17.5%)

Il risultato è ancora più sorprendente se si pensa che i prodotti di Steve Jobs sono comparsi tra gli anni 20012 e 2011 in più di un terzo (129 su 374) di tutti i Top Film degli USA ed è seconda solo a Ford, che con apparizioni in 153 film su 374, è leader assoluto negli ultimi 10 anni. Al terzo posto Coca-Cola.

Ma la cosa più curiosa è che Apple non paga affatto per comparire nei film! Secondo una ricerca di Front Row Analytics i prodotti della Apple sono apparsi per ben cinque minuti di tempo in Mission Impossible 4, per un valore di circa 23 milioni di dollari..

A presto,

Eleonora.

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Martini: shaken, not stirred

26 Feb

Ieri sera mentre guardavo Agente 007 – la morte può attendere,  ho pensato di proporvi il caso di una delle aziende che deve gran parte del suo successo al product placement: Martini.

Gerardo Corvi (2004) lo definisce ‘’un caso unico nella storia del product placement alcolico’’, il cui successo è legato soprattutto al fatto che è il più famoso marchio ad avere un cocktail che porta il suo stesso nome. Questo infatti ha permesso a Martini non solo di sfruttare i classici posizionamenti sui portaceneri , sui cartelloni (Fuga in Francia del 1948 e La mano dello straniero del 1953 entrambi  di Mario Soldati) e sulle bottiglie (I vitelloni di Federico Fellini, 1953), ma anche di essere uno dei cocktail bevuti dai protagonisti dei più famosi film americani. Corvi ci fa una lista dei film in cui si chiede, si prepara e si beve Martini: Tu partirai con me (Don Hartman, 1949), Il padre della sposa (Vincente Minelli, 1950), Harvey (Henry Koster, 1950), Eva contro Eva (Joseph l.Mankiewicz, 1950), Il delitto perfetto (Alfred Hitchcock, 1954), Quando la moglie va in vacanza (Billy Wilder, 1960). Ma è stato anche il cocktail preferito di importanti protagonisti del Novecento: nel ’43 Roosvelt lo offrì a Stalin, poi fu il turno di Nikita, che nel ’61 lo offrì  a Kennedy (definendolo l’arma più potente degli Stati Uniti). Adorato da personaggi leggendari come Cary Grant, Winston Churcill, Truman Capote e Francis Scott Fitzgerald. Non c’è niente d’aggiungere, la classe di questo drink ha segnato un’epoca.

Diventa ben presto simbolo della Grande Mela soprattutto grazie a lui, James Bond, che inizia a bersi Martini, rigorosamente “agitato, non mescolato”, in Licenza di uccidere (Terence Young, 1963), rendendo il cocktail una vera e propria icona di stile.

Purtroppo ne La morte può attendere questo pezzo di storia viene sostituito da un più sguaiato mojito (chissà quanto ha sborsato Bacardi per prendere il posto del concorrente!)… Non sarà un caso che secondo una ricerca londinese è il cocktail cubano ora a detenere il primo posto nella classifica dei cocktail più venduti.

A presto,

Eleonora.

Sanremo: tra location e product placement

22 Feb

Ci siamo lasciati parlando del location placement e oggi vorrei portarvi come esempio proprio il Festival della canzone italiana, terminato pochi giorni fa.

Il Festival oltre a costituire una fonte di guadagni importante (durante il Festival Sanremo viene letteralmente invasa da giornalisti, operatori, cantanti e turisti), è sempre stato una vetrina importante per il Comune. Se ci fate caso le immagini di questa cittadina vengono spesso mostrate nel bel mezzo della trasmissione o tra uno spot pubblicitario, più volte viene ringraziato il sindaco del Comune ospitante la kermesse canora e vengono di continuo lodati i ‘’bellissimi fiori di Sanremo’’ con i quali vengono omaggiati gli ospiti delle serate (oddio se si pensa ai fiori che Morandi ha consegnato alla Pellegrini tutto si può dire tranne che erano belli!)..insomma il binomio ‘’Sanremo-bellissimo’’ compare molte volte durante ogni serata e tutto sembra essere costruito proprio per far apparire la cittadina una meta turistica appetibile!

Quest’anno il Festival è stato al centro di molte polemiche, dagli attacchi di Celentano a Famiglia Cristiana e all’Avvenire, alle parolacce sul palco sino al vestito indossato da una delle vallette. Vorrei proprio parlare di quest’ultimo (senza giudicare la scelta della showgirl ovviamente, cosa che esula dallo scopo del mio blog).

Su alcuni giornali è comparsa infatti la notizia che gli slip indossati dalla Rodriguez fossero gli  ‘strapless panty’, prodotti da una ditta Californiana (notizia smentita poi dallo stilista e dalla stessa modella argentina). Comunque sia pare che le vendite di questi slip invisibili siano addirittura moltiplicate nei giorni seguenti il Festival!

Alla Shibue Couture di Huntington Beach guardano compiaciuti l’effetto Belen sulle vendite dello “strapless panty”. “Non sapevo che i miei slip sarebbero stati usati e non conosco personalmente Belen, ma ero certa che qualcosa fosse successo: tra giovedì e venerdì gli ordini dall’Italia si sono moltiplicati e mi hanno contattata persone interessate a distribuire i miei prodotti”, ha dichiarato a Radiocor Jenny Buettner, amministratore delegato di Shibue Couture.

Buettner è la persona che ha inventato gli “strapless panty”: si tratta di un particolare nude-slip, brevettato dalla società californiana e venduto online sul sito del gruppo e in alcune boutique negli Stati Uniti e all’estero (in Italia ce ne sono solo due a Venezia). “Sono stupefatta e sbalordita, negli Stati Uniti abbiamo molto successo, spero che ora questo aiuti anche il mercato italiano”, ha aggiunto Buettner.

 

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Placement territoriale: il caso di Brescello e del Castello di Agliè

12 Gen

C’è un nuova strada per produrre un film, per valorizzare il nostro territorio, le nostre location e il nostro patrimonio artistico, che tutto il mondo ci invidia: il Cineturismo. Così scriveva qualche anno fa  sul Sole24ore Francesco Apolloni, autore e registra cinematografico mettendo in evidenza come il territorio possa esser considerato a tutti gli effetti un prodotto da piazzare in un film a scopo meramente economico e commerciale.

Al museo Peppone e Don Camillo tra i vari cimeli è possibile rivedere le biciclette usate spesso dai due protagonisti.

Una ricerca condotta dall’APE (Associazione Produttori Esecutivi) effettuata in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma ha dimostrato come per ogni euro speso da una produzione audiovisiva, vi sia un impatto per il territorio di quasi 4 euro. Film e programmi tv possono infatti diventare  un forte elemento di costruzione d’identità di un luogo, di una città, di un territorio e, con le strategie opportune,  è possibile attrarre visitatori che altrimenti non avrebbero visitato il luogo, incoraggiare i turisti che ci sono già stati a ritornare, far si che le permanenze siano più lunghe (con conseguenti spese maggiori), e ampliare il target market di una destinazione. Insomma, un vero e proprio business: studi parlano di 100 milioni di turisti che ogni anno si muovono alla ricerca dei set cinematografici.

Molti film e telefilm hanno consentito in Italia uno sviluppo del territorio sorprendente. E’ il caso di Brescello, piccolo centro nel reggiano a pochi chilometri da Guastalla ‘’in quella fettaccia di terra tra il Po’ e l’Appennino’’, divenuto meta di turisti provenienti da tutta Italia grazie al celeberrimo film di don Camillo e Peppone. L’immagine di quella zona, ha ispirato il libro, che ha ispirato il film, che a sua volta ha formato l’immagine della destinazione e plasmato l’identità del luogo. E’ così che dal 1952, anno della prima pellicola, che Brescello ha sancito la sua imperitura immortalità. L’uso attento dell’immagine del film ha portato ad avere un numero costante di visitatori nell’arco di ben 25 anni (si parla di 30-40 000 visitatori l’anno). Il merito è soprattutto della cittadina che ha saputo sfruttare al meglio la fama del film non solo con la creazione del museo situato in un ex convento benedettino, nonchè sede della celeberrima Casa del Popolo durante le riprese (e questo ha permesso anche di salvare una vera e propria opera d’arte), ma per rivivere l’atmosfera del film si può arrivare a  Brescello in treno con la locomotiva a vapore, proprio come quella che spesso usavano i due protagonisti. Una volta giunti alla stazione, che ha conservato pressoché immutata l’immagine  mostrata nel film, i turisti sono accolti dalla banda e, in corteo, raggiungono la piazza principale.

E per la pausa pranzo? Semplice, si va alla trattoria di Don Camillo e Peppone dove si può bere il vino di Peppone (rigorosamente rosso!)  e assaggiare i tortellini di Don Camillo.

A questo si aggiunge il merchandising: dal carro armato in miniatura protagonista di una famosa scena del film ai dolci di Don Camillo e Peppone…insomma grazie a questo film, ma soprattutto all’abilità di saper sfruttare al meglio la pubblicità ad esso connessa, Brescello riesce ad avere ancora introiti importanti.

Un altro straordinario esempio di placement territoriale riguarda la fiction ‘’Elisa di Rivombrosa’’. Grande il successo dello sceneggiato: oltre 10 milioni di telespettatori hanno seguito la puntata finale, in cui si scioglievano i nodi dell’amore impossibile tra il conte Fabrizio Ristori e la sua bella Elisa Scalzi nel Piemonte sabaudo e settecentesco. Il castello dove è stata girata la fiction è stato letteralmente preso d’assalto dai turisti, il cui numero a un anno dalla fiction è lievitato dai 1500 ai 70/80 000 l’anno. Una volta visitato il castello di Agliè, c’è la possibilità di fare un giro sulla carrozza di Elisa, comprare le riproduzioni dei gioielli della protagonista e, se ci si vuole fermare a mangiar qualcosa, nei menù dei ristoranti locali sono comparsi i ‘’piatti tipici di Elisa’’. Dal nulla (visto che la bella protagonista della fiction non è mai esistita) si è creato un vero e proprio mito.

Due esempi che dimostrano quanto il placement territoriale, con le strategie opportune, sia in grado di generare occupazione e indotto economico.

Mango: un nuovo concetto di product placement

4 Gen

Oggi volevo riprendere una case history apparsa recentemente sul blog “Young Digital Lab“, che parla della nuova serie “What Should I Wear?”, che quest’anno viene prodotta in collaborazione con un noto marchio di moda spagnolo, Mango.

“What Should I Wear?” è una serie alla “Sex And The City” nata sul web, che aveva come obiettivo quello di mostrare agli spettatori, attraverso una fiction, i nuovi look e le nuove tendenze dell’anno. L’inaspettato successo del programma, con circa due milioni di visualizzazioni per la sola prima stagione, deve aver prontamente aguzzato l’ingegno dei marketing manager di Mango, che hanno subito pensato di co-produrre la seconda stagione della serie.

L’obiettivo di Mango è quello di adattare il plot della serie al proprio marchio, proponendo al pubblico una nuova forma di product placement, che – a mio avviso – porta con sè due nuove, importantissime caratteristiche, ovvero la “viralità” e l’interattività.

“What Should I Wear?” infatti, non solo permette di mostrare i vari look mango all’audience con il classico “piazzamento del prodotto”, ma qualora una spettatrice fosse interessata ad un capo d’abbigliamento indossato da un’attrice può “mettere in pausa” la trasmissione ed acquistarlo tramite lo shop online di Mango, che si apre all’interno della pagina in cui viene visualizzata la serie.

Ho potuto visionare alcuni degli episodi su YouTube e sono rimasta sorpresa di quanto la serie sia curata nei minimi dettagli. Gli attori sono molto capaci, la regia è buona e le storie presentate sono divertenti, frizzanti, coinvolgenti e solo raramente risultano piatte o banali. Il livello qualitativo della serie è quindi sorprendentemente alto, e a mio parere ha poco o nulla da invidiare a serie ben più blasonate.

Altra caratteristica molto importante è che il piazzamento dei prodotti nella serie avviene in maniera magistrale, perché questi sono sempre ben visibili e valorizzati dalle inquadrature e dalla luce di scena, senza trasmettere quella sensazione di “sgradevolezza” che spesso avverto quando guardo film o serie TV che utilizzano il product placement in maniera maldestra.

Come ogni esperto di marketing sa, inoltre, il product placement fine a se stesso perde gran parte della sua efficacia, se non ha come contorno una strategia di marketing ben congeniata. La co-produzione, da parte di Mango, della serie “What Should I Wear?” è infatti soltanto una parte di una strategia di marketing ben più complessa ed articolata, volta a generare (anche tramite la gestione i social network) un potente effetto virale in rete. I responsabili della comunicazione di Mango infatti stimolano continuamente la partecipazione e le discussioni sulla pagina ufficiale dell’azienda, offrendo premi e riconoscimenti per gli utenti più attivi.

La co-produzione della serie, l’innovativa interpretazione delle tecniche di product placement, il magistrale utilizzo dei social media nelle tattiche di marketing virale, rendono il caso presentato sopra un vero e proprio “caso di studio”. Il mio plauso va quindi a Mango, che una è tra le prime aziende che hanno saputo sfruttare in maniera sorprendentemente positiva i nuovi mezzi di comunicazione messi a disposizione dal Web 2.0. Sono inoltre convinta che, nonostante altre aziende dello stesso settore possano attuare strategie simili, essere “first movers” in questo campo ancora ampiamente inesplorato, fornirà a Mango un vantaggio strategico non indifferente.

Se l’articolo vi ha incuriosito, non vi resta che guardare una delle puntate della mini-serie:

Se desiderate ottenere maggiori informazioni, vi incollo anche il link dell’articolo di Young Digital Lab, che amplia ed approfondisce alcune delle tematiche che ho trattato nel mio:

http://www.youngdigitallab.com/case-history/mango-pionieri-del-product-placement/

Eleonora

Buonasera a tutti!

29 Dic

Questo è il mio primo post da webmaster del blog, sto inserendo i contenuti proprio in questi giorni, per cui non vi stupite se doveste trovare parti incomplete o in via di costruzione.

Rimanete collegati!

Eleonora